Per ogni imprenditore, che sia alla guida di una start-up innovativa o di una piccola e media impresa (PMI) consolidata, esiste una domanda fondamentale che risuona costantemente: “quanto devo vendere per non essere in perdita?” La risposta a questa domanda non è una semplice stima o un obiettivo vago, ma un valore preciso, calcolabile e di vitale importanza strategica.

Questo valore è conosciuto come punto di pareggio, o utilizzando il suo termine inglese universalmente riconosciuto, break-even point (BEP). L’analisi del break-even point è uno degli strumenti più potenti del controllo di gestione, poiché fornisce una chiara linea di demarcazione tra la perdita e il profitto, rappresentando il livello minimo di attività al di sotto del quale l’azienda non è sostenibile.

Il concetto alla base del break-even point è intuitivo: è il punto in cui i ricavi totali eguagliano esattamente i costi totali. In questa situazione, l’azienda pareggia. Raggiungere il BEP significa quindi aver venduto una quantità di prodotti o servizi sufficiente a coprire completamente sia i costi variabili, direttamente legati alla produzione, sia i costi fissi, ovvero l’intera struttura dei costi operativi.
Ogni singola vendita effettuata oltre il punto di pareggio inizierà a generare un profitto reale per l’impresa. Al contrario, se le vendite si attestano al di sotto di questa soglia, l’azienda si troverà in una situazione di perdita.

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Per calcolare il punto di pareggio è indispensabile classificare i costi aziendali in due macro-categorie: fissi e variabili.
I costi fissi sono quelle spese che non cambiano al variare del volume di produzione, come l’affitto di un capannone, gli stipendi amministrativi, le polizze assicurative o le quote di ammortamento. I costi variabili, invece, sono direttamente proporzionali alla quantità prodotta e venduta, come le materie prime, i costi di spedizione o le commissioni per gli agenti di vendita.
Una volta effettuata questa distinzione, si può procedere al calcolo.

La formula per determinare il break-even point in termini di quantità da vendere (BEP in unità) è la seguente:

BEP (quantità) = costi fissi totali / (prezzo di vendita unitario – costo variabile unitario).

La parte al denominatore, (prezzo di vendita unitario – costo variabile unitario), non è altro che il margine di contribuzione unitario. Questo valore, come suggerisce il nome, rappresenta il contributo che ogni singola unità venduta offre per la copertura dei costi fissi. La formula, quindi, ci dice quante “quote” di contribuzione sono necessarie per coprire l’intero ammontare dei costi fissi.

Facciamo un esempio pratico. Immaginiamo una piccola impresa che produce sedie. I suoi costi fissi mensili (affitto, stipendi, etc.) ammontano a 10.000 euro. Ogni sedia viene venduta a 100 euro. Per produrre una sedia, l’azienda sostiene costi variabili (legno, vernice, manodopera diretta) per 60 euro. Il margine di contribuzione unitario è quindi di 40 euro (100 – 60). Applicando la formula, il BEP in quantità sarà: 10.000 euro / 40 euro = 250 unità.
Questo significa che l’azienda deve vendere esattamente 250 sedie al mese per coprire tutti i suoi costi. Dalla 251esima sedia in poi, ogni vendita genererà un profitto di 40 euro.

Oltre al calcolo in quantità, è spesso utile determinare il punto di pareggio in termini di fatturato (BEP in valore). Questo è particolarmente rilevante per le aziende che vendono molti prodotti diversi con prezzi differenti.
La formula è: BEP (fatturato) = costi fissi totali / ((prezzo di vendita unitario – costo variabile unitario) / prezzo di vendita unitario). Il denominatore ((prezzo – costo variabile) / prezzo) è il margine di contribuzione espresso in percentuale sui ricavi.
Continuando l’esempio precedente, il margine di contribuzione percentuale è (40 / 100) = 0,40 o 40%. Il BEP in fatturato sarà: 10.000 euro / 0,40 = 25.000 euro. L’azienda raggiungerà il pareggio quando incasserà 25.000 euro, che corrispondono, appunto, alla vendita di 250 sedie a 100 euro ciascuna.

In alcuni casi è importante non trascurare l’effetto dei cosiddetti “costi fissi a scaloni”. Tali costi si riferiscono a costi che rimangono fissi entro determinati livelli di attività, ma cambiano “a scaloni” quando si superano determinate soglie, ad esempio l’aumento del volume di produzione. A differenza dei costi puramente fissi, questi costi non sono completamente insensibili al volume, ma si modificano solo in modo non lineare al variare della produzione o dell’attività.

L’analisi del break-even point non è solo un esercizio contabile, ma uno strumento strategico dinamico. Permette di simulare diversi scenari e di rispondere a domande cruciali:
cosa succede al mio BEP se aumento il prezzo di vendita? Di quanto devo ridurre i costi variabili per abbassare il punto di pareggio? Qual è l’impatto di un nuovo costo fisso, come l’assunzione di un dipendente, sulla quantità minima da vendere?

Questa analisi aiuta a fissare obiettivi di vendita realistici, a valutare la fattibilità di nuovi investimenti e a prendere decisioni più consapevoli sulla struttura dei costi e sulla politica dei prezzi. In un mercato competitivo, conoscere il proprio punto di pareggio non è solo una questione di sopravvivenza, ma il primo passo fondamentale per costruire una strategia di crescita solida e prospera.

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