La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente avverso l'avviso di liquidazione con cui l'Agenzia delle entrate chiedeva il pagamento dell'imposta dell'imposta proporzionale di registro dell'1% calcolata sull'importo di una ordinanza ingiunzione emessa dal Tribunale di Napoli.
I giudici di primo grado statuivano che l'imposta di registro andasse calcolata in misura fissa; la Commissione Tributaria Regionale della Campania respingeva l'appello dell'Agenzia delle entrate ritenendo di dover aderire a quel filone giurisprudenziale che propende per la soggezione della ricognizione del debito ad imposta fissa anziché proporzionale atteso che la ricognizione del debito si sostanzia in una scrittura privata sprovvista di carattere patrimoniale, essendo in essa unicamente confermata l'esistenza di un pregresso debito.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate lamentando la violazione e falsa applicazione dell'art. 3, prima parte, della Tariffa del d.P.R. n. 131 del 1986 perché l'atto di riconoscimento del debito, in quanto atto di natura dichiarativa, deve ritenersi assoggettabile non ad imposta di registro fissa, ma all'imposta di registro proporzionale dell'1% ai sensi del citato art. 3.

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15910 dell’’08.06.2021 ha ritenuto il motivo di impugnazione infondato.
Secondo la Suprema Corte, infatti: In tema di imposta di registro, la ricognizione di debito, quale scrittura privata non autenticata, pur non espressamente inserita né nella prima, né nella seconda parte della tariffa di cui al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, né necessariamente ricompresa nel disposto di cui all'art. 4, della parte seconda, che dispone la registrazione in caso d'uso delle "scritture private non autenticate" qualora non abbiano contenuto patrimoniale, è ugualmente soggetta a registrazione in termine fisso in forza dell'art. 9, parte prima, del d.P.R. n. 131 del 1986, che ha valore di previsione generale, trattandosi di atto avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale (Cass. n. 8152 del 2021; Cass. n. 25267 del 2020; n. 14657 del 2020; 13527 del 2020; Cass. n. 481 del 2018; Cass. n. 24107 del 2014; Cass. n. 4728 del 2003).
Si ritiene dunque superato il diverso ed isolato indirizzo giurisprudenziale secondo cui: in tema di imposta di registro, la ricognizione di debito, atto avente, in quanto tale, "natura dichiarativa" – cui è perciò applicabile l'aliquota dell'1% fissata per tale specie di atti dall'art. 3 della tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 -, non sempre rimanda, implicitamente o esplicitamente, all'esistenza dell'atto costitutivo di un sottostante rapporto patrimoniale; né tale atto costitutivo, sulla base degli elementi desumibili dalla ricognizione stessa, è sempre  individuabile al fine di verificare se per essa è stata o meno già versata l'imposta dovuta (Cass. n. 12432 del 2007).
Secondo la Cassazione la Commissione Tributaria Regionale si è correttamente e ragionevolmente (anche in virtù dell'elevato valore della ricognizione di debito, che determinerebbe, qualora fosse calcolata in misura proporzionale, il pagamento di una imposta di registro in misura irragionevolmente eccessiva, anche alla luce del principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost.) attenuta al più recente e nettamente prevalente indirizzo giurisprudenziale – che tende a distinguere tra l'imposta di registro in misura fissa per la ricognizione di debito vera e propria e l'imposta di registro in misura proporzionale per l'eventuale successivo decreto ingiuntivo – laddove, in una ipotesi di ricognizione del debito, ha applicato l'imposta di registro in misura fissa anziché proporzionale.
Decisione dal risvolto decisamente importante se solo si considera l’elevato numero di decreti ingiuntivi che vengono emessi in favore del creditore sulla base di un riconoscimento contenuto ad esempio nella richiesta di dilazione formulata dal debitore.
 
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